Alchimie di luce

di Gabriele Simongini

“Predestinata a un percorso di stella,

che cosa ti importa, stella del buio?”

(Friedrich Nietzsche)

“La pittura è, per me, una sorta di realismo mistico”

(Yves Klein)

Fin dall’inizio del suo appassionante percorso creativo Mariantonietta Sulcanese ha dato vita a personali cosmogonie dello spirito, al generarsi metamorfico di mondi situati sul crinale che separa ed unisce al tempo stesso l’individuale e l’universale. E fino a pochi mesi fa la giovane artista abruzzese per raggiungere questo ambizioso obiettivo ha seguito la via del simbolo araldico, nettamente profilato e riconoscibile. Poi – ed è quel che avviene con le nuove, sorprendenti opere del ciclo Dalla luce della materia alla materia della luce – una sorta di turbine luminescente ha spazzato via e dissolto quelle presenze archetipe dando immagine diretta ad un palpitante respiro cromatico e luminoso. E’ esplosa così l’energia di un vulcano tanto che ora la nostra artista potrebbe assumere lo pseudonimo – mi si passi lo scherzoso gioco di parole – di “Vulcanese”. Finalmente liberi da ogni condizionamento letterario e simbolico, i segni e i colori sembrano voler recare con sé un soffio di vita (pneuma, avrebbero detto i greci e i latini), sembrano promanare direttamente dai polmoni e dall’anima dell’artista in una inscindibile totalità psicofisica che evoca anche una sorta di ineffabile afflato cosmico e universale dato dall’identificazione completa di spazio e luce. Lo si vede bene, ad esempio, in un’opera seducente ed enigmatica come Angelo metropolitano/evoluzione (2007), colma di un anelito al sublime che si fa tutt’uno con gli abissi luminosi del quadro stesso.

La Sulcanese è consapevole che la luce è l’essenza della vita, l’energia del mondo, la più immateriale e la più rapida delle sostanze, il mezzo trasparente e impalpabile che permette alle immagini di manifestarsi e di entrare in contatto con noi tramite il senso della vista. E, da artista curiosa e sempre aperta ai rischi della sperimentazione, cerca tante nature diverse dell’energia luminosa, dalle sue trasparenze più dinamicamente acquoree alla sue densità più terrene, quando la luce si ferma su una materia compatta e rugosa venendone assorbita quasi completamente. Questo cortocircuito luce-materia, movimento-ordine, inseguito tramite la metafisica dei colori e un andamento musicale, è reso con esemplare rigore soprattutto nei polittici ed evoca il rapporto tra una natura naturans in divenire, mobile ed una natura naturata quasi cristallizzata, quella di immemorabili ere geologiche che hanno il sapore dell’eternità. E proprio in questo serrato confronto, fondato sulla compresenza delle differenze, sta uno dei maggiori motivi di forza poetica della ricerca di Mariantonietta Sulcanese, in opere come Cinque memorie di luce (2007), Come una preghiera (2008), Tre versi di luce (2008). Forse, a monte di tutto questo, sta un’alba oggi quasi dimenticata completamente, quella nostalgia della luce totale di cui ha inimitabilmente parlato Paul Eluard e quel “pensiero che lavora per arrivare alla luce” di cui ha scritto Wittgenstein.

Nell’ambito di ogni polittico gli stessi colori sembrano assumere aspetti ed esistenze diverse, di volta in volta magmatici, divampanti e frementi come fiamme o pacificamente inseriti in recinti geometrici che pur non riescono a soffocare residuali sommovimenti materici. Anzi, spesso i timbri delle singole tele monocrome vengono poi a fondersi in un unico flusso all’interno del pannello che fa da sintesi dinamica. Così, in questi lavori, l’artista sembra far coincidere l’alchimia della pittura con quella della vita. E la scelta di frammentare visivamente l’opera nella struttura a più pannelli, anche se ricondotta ad un generale equilibrio compositivo, riflette la perdita di totalità ed assolutezza della nostra epoca ma anche la necessità di dare una risposta creativa alla comunicazione sequenziale e pervasiva dei mass media. Ne emerge, così, un particolare astrattismo organico che finisce anche con l’essere un aniconico realismo spirituale, sulla linea magistralmente avviata da Kandinsky con la sua fase drammatica dei primissimi anni Dieci e poi portata avanti in modi diversi da tanti grandi artisti del secondo ‘900: Gorky, Afro, Klein, solo per citarne alcuni, fino a Vasco Bendini. Non a caso, alcune riflessioni di Yves Klein sul colore sembrano adatte anche alla pittura della Sulcanese: “Il colore, in scala naturale e umana – ha scritto l’artista francese – è ciò che si immerge di più nella sensibilità cosmica. La sensibilità non ha angoli riposti, essa è come l’umidità nell’aria. Il colore è, per me, sensibilità ‘materializzata’. Si immerge nel tutto esattamente come tutto ciò che è sensibilità indefinibile, senza forma e senza limiti. E’ la materia-spazio astratta e reale nello stesso tempo”. Ecco, mutatis mutandis, questo connubio inscindibile fra astrazione e realismo spirituale è anche la meta della ricerca di Mariantonietta Sulcanese, artista che, per parafrasare ancora Klein, aspira a “creare delle opere che siano natura e spirito” al tempo stesso.

Ora, nel pregevole ciclo di opere presentate in questa occasione, abbandonata l’evidenza plateale dei precedenti affioramenti simbolici (in maniera simile a quanto accadde agli espressionisti astratti americani quando si lasciarono dietro le spalle tutte le suggestioni figurali e totemiche surrealiste), Mariantonietta Sulcanese cerca di dare immagine all’energia della vita nel suo stato primario, prima che essa si irrigidisca nell’oggetto e, appunto, nel simbolo. Così la nostra artista potrebbe ben condividere queste celebri riflessioni di Wassily Kandinsky: “Ogni opera d’arte nasce come nasce il cosmo: attraverso catastrofi che dal fragore caotico degli strumenti formano una sinfonia, che chiamiamo armonia delle sfere. La creazione di un’opera d’arte è la creazione di un mondo”.

Elaborando e curando sapientemente, passo dopo passo, ogni aspetto tecnico dei propri quadri per modulare il grado di assorbimento del colore da parte della materia, la Sulcanese approda ad una sorta di ipnotica luminescenza interna all’opera che in qualche modo, nei lavori più riusciti, costituisce il correlativo in immagine dei moti dell’anima e della memoria. E l’artista non si lascia mai trasportare dal caso o da un’attitudine sciamanica, completamente istintiva ed intuitiva, temperando sempre l’impulso emotivo con un rigoroso controllo compositivo: è, fatte le debite proporzioni, “la regola che corregge l’emozione” decantata da Braque o l’idea di pittura come “fiamma in un pezzo di ghiaccio” lanciata da Kandinsky.

Su questi precedenti illustri, inarrivabili ed ardui, tanto da far tremare i polsi, la Sulcanese sta costruendo un percorso ben degno di attenzione eda ammirare per la sua forte personalità. Adesso la sfida sta anche nel continuare la sperimentazione e nell’evitare la ripetizione di una “formula” vincente che non può essere ridotta, proprio per le sue radici vitali, a puro stilema. Nell’attualità e nel futuro dell’astrattismo, nel cui ampio alveo la pittura della Sulcanese si inserisce con spiccata individualità, c’è infatti un pericolo ormai evidente: quello di chiudersi in una eccessiva formalizzazione e nella pratica continua di un asettico esercizio sulla forma che nei suoi vertici va considerato come un punto d’arrivo non più suscettibile di sviluppo. Il problema, in qualche modo, è quello di render vive le forme e di “esistenziare” le ricerche astratte con gli stimoli che vengono dalla nostra contemporaneità. Forse anche la Sulcanese potrebbe sottoscrivere l’analisi che in tal senso ha proposto un artista raffinato come Luigi Carboni: “La pittura contemporanea astratta reclama una flessibilità: tra astratto e figurativo, tra realtà e immaginario tecnologico, tra la forma e la finzione, tra naturale e artificiale, tra superficie come fatto “decorativo” e la profondità come fatto “costruttivo”. Si sta forse costruendo una dialettica fra entità opposte? Certo, la dialettica fra entità opposte è fatto centrale dell’opera, un’unione di opposti che convivono nella loro diversità con tutte le incertezze e le difficoltà”.

Uno degli obiettivi delle ricerche astratte di oggi – e la pittura della Sulcanese procede proprio in questo senso- potrebbe essere quello di concentrarsi su una “mistica metafisica” della forma che porti l’osservatore ad un’azione contemplativa e dinamica, potenziata e vissuta come esperienza totalizzante, in alternativa dialettica con quanto propongono i mass-media e precisamente le nuove tecnologie di comunicazione. Non c’è dubbio infatti che la percezione delle persone è cambiata, è abituata alla rapidità, al bombardamento ipnotico, all’effetto spettacolare, a un perenne stato di eccitazione sensoriale, sia pur di superficie. Evidentemente gli artisti contemporanei, anche quelli fedeli all’astrattismo, non possono non tenere conto di questi mutamenti. Però essi dovrebbero essere capaci di mettere in moto una rinnovata contemplazione, in senso etimologico, magico-sacrale: dal latino “contemplari”, “ trarre qualche cosa nel proprio orizzonte”, che a sua volta deriva da “templum”, lo “spazio o circolo di osservazione che l’augure descriveva nel cielo col suo lituo per osservare nell’interno di esso il volo degli uccelli”. Ecco, questa nuova azione contemplativa, magico-sacrale, promana con un impatto coinvolgente proprio dalle opere più recenti della Sulcanese ( basta vedere, a tal proposito, La melodia del tempo- nuova nota o Luce d’oriente, entrambe del 2008). Infatti l’artista abruzzese, con i suoi quadri, dà vita ad un impatto prima fisico, per certi versi, e poi capace di produrre una vertigine che quindi si trasforma in esperienza interiore, senza rimanere puro effetto spettacolare. E’ la sfida a sollecitare una diversa attenzione dell’osservatore mettendosi in relazione con un mondo indubbiamente cambiato. Anche se non bisogna eccedere nel gusto fine a se stesso del formalismo è però indispensabile recuperare la profondità di una forma destinata ai sensi e piena di senso, anche in una prospettiva mistica: come ha mirabilmente scritto Gottfried Benn “Dio è Forma”, in senso assoluto e non “Dio è una Forma” o “Dio è la Forma”. E al sostantivo “Dio” si può anche sostituire il concetto di spirito senza che il discorso cambi di molto.