Antrodoco, Rieti , Museo della Città “Lin Delija-Carlo Cesi”, mostra personale cu/ori, 2009

Introduzione al catalogo 

Il Museo della Città è uno dei meravigliosi frutti nati dall’incontro tra Lin Delija e Antrodoco con la sua terra e la sua gente. Ogni museo, qualunque sia il suo carattere, è un prodotto storico e culturale e il nostro Museo di Antrodoco conserva, da una parte, un forte legame con la comunità e il territorio, dall’altra, in ragione del suo patrimonio storico-artistico nato dall’unione di culture diverse, deve necessariamente aprirsi all’esterno. Accanto alla necessità primaria di conservare, studiare, esporre, valorizzare e comunicare la nostra collezione abbiamo l’imperativo categorico di creare occasioni di confronto con gli artisti e la società. Dunque il Museo “Lin Delija – Carlo Cesi” vuole diventare il luogo fisico e simbolico dello scambio, dell’incontro, sul sostrato comune dell’arte. Per avviare questo processo che ci consente di aggiungere preziosi tasselli alla costruzione della nostra identità abbiamo deciso di esporre gli esiti più recenti della ricerca espressiva di Mariantonietta Sulcanese, artista dal temperamento internazionale. La mostra cu / ori racconta, in una dimensione parimenti contemplativa e narrativa, di un dialogo pittorico con il sacro, intendendo con questo termine il nesso che dà forma e senso alla terra e all’universo insieme. Questo valore semantico del termine “sacro” racchiude anche il lavoro di Lin Delija. La sua esigenza di “sacralità” era del tutto svincolata dalla scelta iconografica e, pertanto, capace di concretizzarsi in ogni dipinto, in ogni soggetto, in ogni partitura cromatica. Perché la sua idea di “sacro” era composta, in ugual misura, di elevazione e profondissima coscienza del proprio abisso interiore.I lavori di Sulcanese, presentati in quest’occasione, sono vere e proprie trame, materiali e simboliche, su cui si addensano i riflessi di quel principio vitale che informa tutte le cose. Nella serie Il cuore dei santi / The heart of saints l’artista si appropria di un simbolo presente come pochi altri nell’immaginario collettivo. Lo spettatore è invitato a contemplare questa forma archetipa che, in queste opere, non si impone alla percezione con la violenza della sovraesposizione ma che, al contrario, va ricercata, intuita tra i bagliori del colore e gli strati della materia. Cuore = sentire. Ma sentire si può solo se siamo in grado di liberarci della passività velenosa che inganna, dell’appiattimento percettivo a cui ci condanna l’età postmoderna. Santi = uomini di buona volontà. Capaci di sentire. Il lavoro di Sulcanese parla diretto. All’uomo. La sua non è una pittura di stretta autoreferenzialità ma prende senso nello sguardo di chi osserva. Ecco allora che le sue opere chiamano in causa noi spettatori, ci interrogano, ci chiedono di oltrepassare convinzioni e limiti che il più delle volte finiamo con l’autoimporci.La “logica del sentire” è espressa anche nelle installazioni pensate appositamente per gli spazi del museo. Qui il simbolo si fa inequivocabile e la sua collocazione a terra, in dialogo con il dipinto retrostante, mette in comunicazione lo spazio orizzontale, spesso trascurato, e quello verticale, proponendo ancora un coinvolgimento ambientale. Il cuore è utilizzato come una porzione del linguaggio, come un’immagine che diventa parola. Spicca, nel gruppo delle installazioni, un pensiero che l’artista ha voluto dedicare alla dolorosa tragedia aquilana. E tra le ferite della scia di sangue germoglia l’oro di un futuro nascosto, difficile ma ancora possibile.Anche la serie Sentieri di luce / Paths of light è interamente giocata sulle densità materiche e cromatiche. Diventa qui protagonista la densa colatura di pigmento che attraversa le superfici come a voler evocare quel mistero che lega l’universo all’uomo e l’uomo all’universo. Ecco. Un’altra riflessione si impone al nostro sguardo. Le slavature di colore che innervano le tele, si sovrappongono e si tessono, suggeriscono una dimensione temporale di durata sospesa, potenzialmente infinita. Già, perché le scie di pigmento non nascondono la verticalità del dipingere, con il loro andamento dall’alto verso il basso. Ma il movimento così suggerito sembra esplodere anche nella direzione opposta. E’ allora che le colature così preziose dei suoi dipinti sono emanazione di quel principio creatore che scende a dar vita e linfa a tutte le cose ma sono anche espressione di quell’anelito che dal basso si tende a cercare l’alto, l’altro. E nella luce della materia e del colore c’è il senso di questo incontro. Questa urgenza esistenziale dichiarata con forza permette a Sulcanese di essere coerente e rigorosa e conferisce alle sue opere una forza espressiva intensa. Non risiede nella violenza gestuale il carattere della sua pittura, quanto piuttosto nella ricerca laboriosa e paziente che consente ai suoi lavori di oltrepassare la dimensione dell’Informale inteso in senso stretto (qualora oggi ci fosse ancora bisogno di queste categorie).La vicenda espressiva dell’artista è nutrita parimenti da radici affondate nella sua personalissima interiorità e nel mondo fenomenico che, sulle tele, vanno a dialogare. E’ da qui che dobbiamo muoverci per operare ancora un’altra riflessione sulle polarità che danno senso al suo fare pittorico: la materia e il colore. Sulcanese prepara la tela legando sabbia, pomice, legno e chissà cos’altro ancora, qualificando questi brani di realtà per i loro valori espressivi e tattili. Nascono così le preziose concrezioni materiche che proiettano i suoi lavori oltre il supporto, direttamente nello spazio, nell’esperienza dello spettatore. Perché Sulcanese non contempla solo l’idea ma si compromette con la fisicità del mondo. Tornano così alla memoria certe sperimentazioni condotte da Mario Merz nella prima metà degli anni ’60 quando, accumulando spessi strati di colore sulla tela, tentava di dar forma a una materia che fuoriuscisse dalla bidimensionalità per impossessarsi dello spazio. Quelle ricerche sarebbero poi esplose nelle strutture aggettanti e nelle installazioni che ben conosciamo.La densità materica di Sulcanese si appoggia sulla superficie ma allo stesso tempo la nega in favore dell’espressione di una condizione esistenziale. Sulle tele preparate in questo modo procede, lentamente, per velature progressive di colore. L’impiego di pigmenti riflettenti le consente di ottenere giochi luministici straordinariamente coinvolgenti. I dialoghi cromatici così palpitanti di vita sembrano echeggiare quel desiderio di raggiungere la dimensione infinita dello spirito che Yves Klein aveva trovato invece nel monocromo. Sulcanese dimostra di credere in un’armonia di colori resa possibile da quello che Wassily Kandinsky ne Lo spirituale nell’arte definì «principio della necessità interiore». Nelle sue opere i pigmenti sono vibranti, mutevoli, cambiano a seconda del punto di vista e diventano metafora potente della realtà in cui viviamo, sempre mobile e sfuggente. Questi vettori di ricerca informano da sempre la carriera dell’artista e le conferiscono coerenza e integrità. Il suo percorso, che l’ha portata ad essere protagonista di premi e occasioni espositive di rilievo, si arricchisce ora di nuove possibilità compiutamente espresse nelle opere presentate in questa sede.Il lavorio del gesto minuzioso e la pasta pittorica, sintesi raffinatissima di materia e colore, restituiscono il senso di un’indagine condotta alla ricerca di un legame con l’universo. Alla ricerca, cioè, di quel principio “sacro” che dà vita all’uomo e al mondo.Non è superfluo rimarcare ancora l’urgenza esistenziale pura che Sulcanese, come ogni artista rigoroso, pone alla base della propria indagine e che ci fa convenire con Stefano Chiodi quando afferma che «al presente gli artisti possono fornire un’illuminazione inattesa, sintetica, non più come compito (inevitabilmente fissato nella nostalgia di se stesso), ma piuttosto come disposizione attiva che non rispecchi, ma che dischiuda la nostra attualità a noi stessi […]».Le opere dell’artista chiamano lo spettatore a un coinvolgimento attivo, totale. Lo spazio che propongono va letto in una prospettiva contemplativa che cattura lo sguardo e lo invita a perdersi tra bagliori di velature e sintesi materiche. I lavori persistono allora nella nostra visione retinica in una dimensione in cui la superficie sparisce e lascia il posto alla materia e al colore, pulsanti di vita. E’ in questa capacità di creare un nuovo andamento temporale che credo vadano ulteriormente intesi questi lavori. Una dinamica che porta lo spettatore a sostare, a fermarsi per recuperare coscienza della propria percezione del vivere. Oggi. Il presente globalizzato ma non per questo unito, è invaso dai mezzi di comunicazione che azzerano le distanze spazio-temporali e ci trascinano in una violenta aggressione mediatica. Siamo coinvolti in un blocco sensoriale che ci precipita nell’indifferenza o nell’eccessiva semplificazione dell’interpretazione di noi stessi e degli eventi. Le immagini si sostituiscono alla realtà, il modo diventa un simulacro e i rapporti personali sono dominati da un sistema di «appartenenze corte» legate alle urgenze esperienziali. In questo stato di cose la ricerca di Sulcanese afferma la specificità dell’arte che, così irriducibilmente diversa da altre pratiche, diventa un mondo in grado di aprire slarghi di pensiero e di autonomia.I suoi lavori non si esauriscono mai nella sola contingenza piuttosto, a partire da questa, riescono a escogitare una propria misura, difficile però a notarsi con la sola cronaca. Le opere, nella loro complessità materiale e simbolica, si aprono a una stratificazione di significati che noi qui abbiamo il compito di decifrare e interpretare con la parola scritta. Spetta però a chi le guarda lasciarsi coinvolgere, mettendo in gioco e, se vuole, in discussione, il proprio sentire. Allora la traiettoria che va dall’ascolto della sensibilità dell’artista

Antonella Muzi, Direttore Museo della Città Lin Delija – Carlo Cesi: